V ercelli e le sue terre sono un’autentica sorpresa. A poco più di un’ora d’auto da Milano, quest’angolo di Piemonte, insieme al vicino territorio di Biella, sta diventando a place to be, una destinazione per intenditori che vogliono restare fuori dai circuiti turistici più battuti. È un piccolo mondo antico, ancora genuino, dove assaporare quello stile di vita italiano che tutti ci invidiano.
Il Crocifisso Ottoniano al Duomo di Vercelli. Ph Maria Tatsos
Il nostro viaggio incomincia dalla capitale del riso, Vercelli, dove torri medievali e magnifiche chiese testimoniano di una gloria e di una grandezza che hanno radici antiche. A cominciare dalla Cattedrale di Sant’Eusebio, che conserva le spoglie del santo protettore del Piemonte. Vanta una perla che da sola vale il viaggio: il Crocifisso Ottoniano, alto oltre 3 metri, in lamina d’argento. Risale all’anno Mille. Se vi state chiedendo che cosa ci facesse qui, in un borgo circondato da risaie, un’opera così preziosa, ecco la risposta: Vercelli, nel Medioevo, era un centro ben più importante di Torino. Da qui passavano i pellegrini che percorrevano la via Francigena. Non dovete andare in un museo per vederlo: il Crocifisso Ottoniano troneggia nella cattedrale, dove si può entrare liberamente.
La basilica di Sant’Andrea, con la vicina abbazia. Ph Archivio fotografico ATL Valsesia Vercelli
La seconda sorpresa è la basilica di Sant’Andrea, uno dei primi esempi in Italia i cui il nascente stile gotico si fonde con elementi romanici. Si trova proprio a Vercelli grazie a un cardinale, Guala Bicchieri, vercellese e legato pontificio in Inghilterra. Siamo nel Duecento: il prelato fece un ottimo lavoro e come ricompensa gli fu assegnata un’abbazia inglese, i cui ricchi proventi erano destinati direttamente a lui. Questo denaro il cardinale volle investirlo nella sua città. Realizzò un ricovero per i pellegrini e la basilica di Sant’Andrea. Senza badare a spese: fece utilizzare tre pietre di colore diverso per la facciata e per le sculture coinvolse la scuola di Benedetto Antelami, la star degli scultori dell’epoca. In otto anni, dal 1219 al 1227, la chiesa venne ultimata a tempo di record. Quando varcarono la soglia, i vercellesi di sicuro rimasero a bocca aperta: il gotico era una nuova moda francese, che il cardinale aveva voluto portare, da vero pioniere, in città.
La torta tartufata, specialità di Vercelli. Ph Maria Tatsos
Due passi nel centro storico, ci portano a piazza Cavour, cuore cittadino, circondata dai portici. Sotto uno di essi, c’è la storica pasticceria Taverna e Tarnuzzer, in cui gustare i tipici biscotti speziati bicciolani e la torta tartufata, fatta con crema Chantilly e pan di Spagna ricoperto di deliziose foglie di cioccolato, facendo una sosta nella saletta interna che è un luogo di ritrovo e di chiacchiere per la gente del posto.
La panissa è un risotto con le cotiche e i fagioli. Ph Maria Tatsos
A Vercelli è d’obbligo assaggiare la panissa, un risotto con le cotiche e i fagioli, piatto povero oggi emblema gourmet della cucina locale. Un buon indirizzo è il ristorante Il Paiolo (tel 0161-250577), dove gustare anche un antipasto di salumi che include anche il salame d’asino, il tipico salam d’la duja piemontese e un salume e a base di carne suina e patate, gustoso e morbidissimo.
Montagne e risaie nella Baraggia vercellese. Ph Archivio fotografico ATL Valsesia Vercelli
Puntando verso nord ovest, in direzione di Biella si attraversa la Baraggia, una delle ultime savane italiane, dove si coltiva anche il riso con l’acqua che giunge dal Monte Rosa e dalla Dora. Il riso di Baraggia è la prima e unica DOP italiana di riso, che si produce in queste terre d’acqua tra Vercelli e Biella. All’azienda agricola Musso, Matteo e la sorella Alessia sono la quarta generazione di coltivatori, attenti a una produzione rispettosa dell’ambiente e con un uso limitato di agrofarmaci. Producono diverse varietà di riso, fra cui l’Arborio, il Carnaroli e il Sant’Andrea, ottimi per i risotti: Vendita diretta contattando Matteo Musso (tel. 328-4883496).
Benedetta Borrione guida la visita al Cappellificio Cervo.Ph Maria Tatsos
Se Vercelli è terra di riso, Biella è terra di lana. La produzione laniera era già presente nel Medioevo, ma è nell’Ottocento che si assiste a un cambiamento rivoluzionario: l’avvento delle macchine nella lavorazione. Per ottenere l’energia che azionava i macchinari, i biellesi ricorrono ai loro ricchi corsi d’acqua. L’imbocco della valle Cervo è un paradiso per chi ama l’archeologia industriale. Parte degli antichi opifici da tempo dismessi oggi ospita uffici e centri culturali, fra cui spicca la Cittadella dell’Arte della Fondazione Pistoletto.
Addentrandosi nella valle, a Sagliano Micca si scorge lungo la strada il Cappellificio Cervo, fondato nel 1897, oggi proprietà del gruppo Zegna e della famiglia Borrione. La lavorazione artigianale dei cappelli in feltro è una tradizione della zona, che utilizza morbido pelo di coniglio, un tempo allevato dalla gente del luogo. Oggi i cappelli sono realizzati anche in lana e cachemire. Il cappellificio produce per il suo marchio Barbisio e per conto di varie grandi firme della moda. Sabato e domenica su prenotazione è possibile fruire di una visita guidata da Benedetta Borrione (tel 015-473661, amministrazione@cappellificio.it. Costo 100 euro da 1 a 10 persone).
Una delle sale da pranzo dell’hotel di charme La Bürsch. Photo ufficio stampa La Bürsch.
Proseguendo fino a Campiglia Cervo, si arriva a La Bürsch, un piccolo borgo contadino di case in pietra seicentesche restaurato dall’imprenditrice Barbara Varese e oggi diventato un delizioso hotel di charme. In queste zone si lavorava la canapa: in passato, le costruzioni erano essiccatoi e abitazioni dei lavoratori. La Bürsch significa “la tana” in lingua Walser. E in effetti per anni queste case sono state il rifugio del padre di Barbara e della sua famiglia. Non si ha la sensazione di trovarsi in un hotel lussuoso e impersonale, bensì di essere ospiti in una casa privata, arredata di mobili vintage e oggetti acquistati dal padre della proprietaria nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo. Il progetto è un esempio virtuoso di rinascita di una valle che nel tempo si è spopolata, ma che conserva un aspetto affascinante di wilderness. Il ristorante gourmet, che privilegia ingredienti del territorio acquistati da chi li produce, è guidato dalla giovane chef piemontese Erika Gotta.
Il Monte Rosa visto dalla Bocchetta di Margosio, in Oasi Zegna. Ph Oasi Zegna
Dalla valle Cervo si prosegue in direzione Trivero imboccando la panoramica Zegna che attraversa per 65 km l’Oasi Zegna. Uno scrigno di natura incontaminata, che il prossimo anno festeggia i 30 anni dalla sua fondazione. Voluta da Ermenegildo Zegna, fu costruita a partire dal 1938. Fu tra le prime strade in Italia nate con uno scopo turistico, e non come asse commerciale o militare. In queste montagne incantevoli, disboscate durante il primo conflitto mondiale, il creatore del lanificio Zegna fece piantare oltre mezzo milione di alberi. La strada ha vari punti di sosta per ammirare il panorama, che incrociano numerosi sentieri. Imperdibile la Bocchetta di Margosio, da cui ammirare il Monte Rosa. Bielmonte è invece il punto più alto del percorso (1500 m). In questa località, lo storico hotel Bucaneve, progettato dall’architetto Luigi Vietti, artefice di molte ville e case di lusso a Cortina.
A Casa Zegna è esposto un sottocasco in jersey di pura seta, Ermenegildo Zegna Linea Sport, del 1970. Ph Maria Tatsos
Scendendo a Trivero, si passa dalla celebre Conca dei Rododendri, che in primavera è un tripudio di colori. Dall’alto, il paesaggio è dominato dalla presenza del Lanificio Zegna, creato da Ermenegildo Zegna nel 1910, baluardo di un “made in Italy” di altissima qualità. Filantropo attento alla vita dei dipendenti e delle loro famiglie, Ermenegildo plasmò questo paesino regalando servizi all’avanguardia: case per gli operai, una clinica, una piscina pubblica coperta, persino un cinema. Inaugurò anche il primo negozio a marchio Zegna, tuttora aperto al pubblico. Ricevi news e aggiornamenti sulle ultime tendenze beauty direttamente nella tua posta Iscriviti alla newsletter
Ad accogliere i visitatori, c’è oggi un museo aziendale ospitato in Casa Zegna (tel. 015-7591463, casazegna@fondazionezegna.com, aperto la domenica da metà maggio a metà novembre, ingresso 5 euro). Qui si ripercorre oltre un secolo di storia del celebre marchio biellese e della famiglia che guida l’azienda, ormai giunta alla quarta generazione. È particolarmente affascinante poter toccare con mano i fiocchi di lane pregiate che servono a creare i tessuti Zegna. A Trivero, infatti, si parte dalla lana, si ottiene il filato e poi il tessuto. Un ciclo completo, tutto in mano a operai italiani e realizzato in questo storico stabilimento. Una vera eccellenza italiana.